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      Finalmente sembrommi d'intendere la sua voce. Ascoltai, e non distinsi le sue parole. Aspetto, spero; indarno! nessuno viene. Possibile che non siasi conceduto di traslocarci in salvo dal fuoco? E se non ci fosse più modo di scampare? E se il custode e la sua famiglia stentassero a mettere in salvo se medesimi, e nessuno più pensasse ai poveri ingabbiai?
      Tant'è,
      ripigliava io "questa non è filosofia, questa non è religione! Non farei io meglio d'apparecchiarmi a veder le fiamme entrare nella mia stanza e divorarmi?"
      Intanto i romori scemavano. A poco a poco non udii più nulla. "È questo prova esser cessato l'incendio? Ovvero tutti quelli che poterono sarann'essi fuggiti, e non rimangono più qui se non le vittime abbandonate a sì crudel fine?"
      La continuazione del silenzio mi calmò: conobbi che il fuoco doveva essere spento.
      Andai a letto, e mi rimproverai come viltà l'affanno sofferto; ed or che non si trattava più di bruciare, m'increbbe di non esser bruciato, piuttosto che avere fra pochi giorni ad essere ucciso dagli uomini.
      La mattina seguente intesi da Tremerello qual fosse stato l'incendio, e risi della paura ch'ei mi disse aver avuta; quasi che la mia non fosse stata eguale o maggiore della sua.
     
      CAPO L
     
      Addì 11 gennaio (1822), verso le 9 del mattino, Tremerello coglie un'occasione per venire da me, e tutto agitato mi dice:
      Sa ella che nell'isola di San Michele di Murano, qui poco lontano da Venezia, v'è una prigione dove sono forse più di cento carbonari?
      Me l'avete già detto altre volte.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
pagine 201

   





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