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      Era il dottor Dosmo. S'avanzò quindi il capo-sbirro, e ci pose le manette. Seguimmo lui, accompagnati dagli altri sbirri.
      Scendemmo la magnifica scala de' giganti, ci ricordammo del doge Marin Faliero, ivi decapitato, entrammo nel gran portone che dal cortile del palazzo mette sulla piazzetta, e qui giunti voltammo verso la laguna. A mezzo della piazzetta era il palco ove dovemmo salire. Dalla scala de' giganti fino a quel palco stavano due file di soldati tedeschi; passammo in mezzo ad esse.
      Montati là sopra, guardammo intorno, e vedemmo in quell'immenso popolo il terrore. Per varie parti in lontananza schieravansi altri armati. Ci fu detto, esservi i cannoni colle micce accese dappertutto.
      Ed era quella piazzetta, ove nel settembre 1820, un mese prima del mio arresto, un mendico aveami detto: "Questo è luogo di disgrazia!".
      Sovvènnemi di quel mendico, e pensai: "Chi sa, che in tante migliaia di spettatori non siavi anch'egli, e forse mi ravvisi?".
      Il capitano tedesco gridò che ci volgessimo verso il palazzo e guardassimo in alto. Obbedimmo, e vedemmo sulla loggia un curiale con una carta in mano. Era la sentenza. La lesse con voce elevata.
      Regnò profondo silenzio sino all'espressione: condannati a morte. Allora s'alzò un generale mormorio di compassione. Successe nuovo silenzio per udire il resto della lettura. Nuovo mormorio s'alzò all'espressione: condannati a carcere duro, Maroncelli per vent'anni, e Pellico per quindici.
      Il capitano ci fe' cenno di scendere. Gettammo un'altra volta lo sguardo intorno, e scendemmo.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
pagine 201

   





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