Sarò ferreo ne' miei doveri, ma il cuore... il cuore è pieno di rammarico di non poter sollevare gl'infelici. Questa è la cosa ch'io volea dirle.
Ambi eravamo commossi. Mi supplicò d'essere quieto, di non andare in furore, come fanno spesso i condannati, di non costringerlo a trattarmi duramente.
Prese poscia un accento ruvido, quasi per celarmi una parte della sua pietà, e disse:
Or bisogna ch'io me ne vada.
Poi tornò indietro, chiedendomi da quanto tempo io tossissi così miseramente com'io faceva, e scagliò una grossa maledizione contro il medico, perché non veniva in quella sera stessa a visitarmi.
Ella ha una febbre da cavallosoggiunse "io me ne intendo. Avrebbe d'uopo almeno d'un pagliericcio, ma finché il medico non l'ha ordinato, non possiamo darglielo."
Uscì, richiuse la porta, ed io mi sdraiai sulle dure tavole, febbricitante sì, e con forte dolore di petto, ma meno fremente, meno nemico degli uomini, meno lontano da Dio.
CAPO LX
A sera venne il soprintendente, accompagnato da Schiller, da un altro caporale e da due soldati, per fare una perquisizione.
Tre perquisizioni quotidiane erano prescritte: una a mattina, una a sera, una a mezzanotte. Visitavano ogni angolo della prigione, ogni minuzia; indi gl'inferiori uscivano, ed il soprintendente (che mattina e sera non mancava mai) si fermava a conversare alquanto con me.
La prima volta che vidi quel drappello, uno strano pensiero mi venne. Ignaro ancora di quei molesti usi, e delirante dalla febbre, immaginai che mi movessero contro per trucidarmi, e afferrai la lunga catena che mi stava vicino per rompere la faccia al primo che mi s'appressasse.
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Dio Schiller
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