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      Che fa ella?
      disse il soprintendente. "Non veniamo per farle alcun male. Questa è una visita di formalità a tutte le carceri, a fine di assicurarci che nulla siavi d'irregolare."
      Io esitava; ma quando vidi Schiller avanzarsi verso me e tendermi amicamente la mano, il suo aspetto paterno mi ispirò fiducia: lasciai andare la catena, e presi quella mano fra le mie.
      Oh come arde!
      diss'egli al soprintendente. "Si potesse almeno dargli un pagliericcio!"
      Pronunciò queste parole con espressione di sì vero, affettuoso cordoglio, che ne fui intenerito.
      Il soprintendente mi tastò il polso, mi compianse: era uomo di gentili maniere, ma non osava prendersi alcun arbitrio.
      Qui tutto è rigore anche per mediss'egli. "Se non eseguisco alla lettera ciò ch'è prescritto, rischio d'essere sbalzato dal mio impiego."
      Schiller allungava le labbra, ed avrei scommesso ch'ei pensava tra sé: "S'io fossi soprintendente non porterei la paura fino a quel grado; né il prendersi un arbitrio così giustificato dal bisogno, e così innocuo alla monarchia, potrebbe mai riputarsi gran fallo."
      Quando fui solo, il mio cuore, da qualche tempo incapace di profondo sentimento religioso, s'intenerì e pregò. Era una preghiera di benedizioni sul capo di Schiller; ed io soggiungeva a Dio: "Fa ch'io discerna pure negli altri qualche dote che loro m'affezioni; io accetto tutti i tormenti del carcere, ma deh, ch'io ami! deh, liberami dal tormento d'odiare i miei simili!".
      A mezzanotte udii molti passi nel corridoio. Le chiavi stridono, la porta s'apre.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
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