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      Le calze erano di grossa lana; la camicia di tela di stoppa piena di pungenti stecchi, - un vero cilicio: al collo una pezzuola di tela pari a quella della camicia. Gli stivaletti erano di cuoio non tinto, allacciati. Il cappello era bianco.
      Compivano questa divisa i ferri a' piedi, cioè una catena da una gamba all'altra, i ceppi della quale furono fermati con chiodi che si ribadirono sopra un'incudine. Il fabbro che mi fece questa operazione disse ad una guardia, credendo che io non capissi il tedesco:
      Malato com'egli è, si poteva risparmiargli questo giuoco; non passano due mesi, che l'angelo della morte viene a liberarlo.
      Möchte es sein! (fosse pure!)
      gli diss'io, battendogli colla mano sulla spalla.
      Il pover'uomo strabalzò e si confuse; poi disse:
      Spero che non sarò profeta, e desidero ch'ella sia liberata da tutt'altro angelo.
      Piuttosto che vivere così, non vi paregli risposi "che sia benvenuto anche quello della morte?"
      Fece cenno di sì col capo, e se n'andò compassionandomi.
      Io avrei veramente volentieri cessato di vivere, ma non era tentato di suicidio. Confidava che la mia debolezza di polmoni fosse già tanto rovinosa da sbrigarmi presto. Così non piacque a Dio. La fatica del viaggio m'avea fatto assai male: il riposo mi diede qualche giovamento.
      Un istante dopoché il fabbro era uscito, intesi sonare il martello sull'incudine nel sotterraneo. Schiller era ancora nella mia stanza.
      Udite que' colpigli dissi. "Certo, si mettono i ferri al povero Maroncelli."
      E ciò dicendo, mi si serrò talmente il cuore, che vacillai, e se il buon vecchio non m'avesse sostenuto, io cadeva.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
pagine 201

   





Dio Maroncelli