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      Ben ci disponevamo a ripigliare il canto, ma furiose grida s'alzarono a maledirci, e convenne rispettarle.
      Io mi rappresentava Maroncelli giacente da sì lungo tempo in quel carcere tanto peggiore del mio; m'immaginava la tristezza che ivi dovea sovente opprimerlo ed il danno che la sua salute ne patirebbe, e profonda angoscia m'opprimeva.
      Potei alfine piangere, ma il pianto non mi sollevò. Mi prese un grave dolore di capo con febbre violenta. Non mi reggeva in piedi, mi buttai sul pagliericcio. La convulsione crebbe; il petto doleami con orribile spasimo. Credetti quella notte morire.
      Il dì seguente la febbre era cessata, e del petto stava meglio, ma pareami d'aver fuoco nel cervello, e appena potea muovere il capo senza che vi si destassero atroci dolori.
      Dissi ad Oroboni il mio stato. Egli pure si sentiva più male del solito.
      Amicodiss'egli "non è lontano il giorno che uno di noi due non potrà più venire alla finestra. Ogni volta che ci salutiamo può essere l'ultima. Teniamoci dunque pronti l'uno e l'altro sì a morire, sì a sopravvivere all'amico."
      La sua voce era intenerita; io non potea rispondergli. Stemmo un istante in silenzio, indi ei riprese:
      Te beato, che sai il tedesco! Potrai almeno confessarti! lo ho domandato un prete che sappia l'italiano: mi dissero, che non v'è. Ma Dio vede il mio desiderio, e dacché mi sono confessato a Venezia, in verità mi pare di non aver più nulla che m'aggravi la coscienza.
      Io invece, a Venezia, mi confessaigli dissi "con animo pieno di rancore, e feci peggio che se avessi ricusato i sacramenti.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
pagine 201

   





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