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      Mi destai alquanto sollevato, e vedendo Schiller e Kral vicini a me, presi le lor mani e li ringraziai delle loro cure.
      Schiller mi disse: "L'occhio mio è esercitato a veder malati: scommetterei ch'ella non muore".
      Non parvi di farmi un cattivo pronostico?
      diss'io.
      No,
      rispose "le miserie della vita sono grandi, è vero; ma chi le sopporta con nobiltà d'animo e con umiltà, ci guadagna sempre vivendo."
      Poi soggiunse: "S'ella vive, spero che avrà fra qualche giorno una gran consolazione. Ella ha dimandato di vedere il signor Maroncelli?".
      Tante volte ho ciò dimandato, ed invano; non ardisco più sperarlo.
      Speri, speri, signore! e ripeta la dimanda.
      La ripetei infatti quel giorno. Il soprintendente disse parimente ch'io dovea sperare, e soggiunse essere verisimile che non solo Maroncelli potesse vedermi, ma che mi fosse dato per infermiere, ed in appresso per indivisibile compagno.
      Siccome, quanti eravamo prigionieri di Stato, avevamo più o meno tutti la salute rovinata, il governatore avea chiesto a Vienna che potessimo esser messi tutti a due a due, affinché uno servisse d'aiuto all'altro.
      Io aveva anche dimandato la grazia di scrivere un ultimo addio alla mia famiglia.
      Verso la fine della seconda settimana la mia malattia ebbe una crisi, ed il pericolo si dileguò.
      Cominciava ad alzarmi, quando un mattino s'apre la porta, e vedo entrar festosi il soprintendente, Schiller ed il medico. Il primo corre a me, e mi dice: "Abbiamo il permesso di darle per compagno Maroncelli, e di lasciarle scrivere una lettera ai parenti".


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
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