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      Quante volte Oroboni m'aveva detto, guardando dalla finestra il cimitero: "Bisogna ch'io m'avvezzi all'idea d'andare a marcire là entro: eppur confesso che quest'idea mi fa ribrezzo. Mi pare che non si debba star così bene sepolto in questi paesi come nella nostra cara penisola".
      Poi ridea e sclamava: "Fanciullaggini! Quando un vestito è logoro e bisogna deporlo, che importa dovunque sia gettato?".
      Altre volte diceva: "Mi vado preparando alla morte, ma mi sarei rassegnato più volentieri ad una condizione: rientrare appena nel tetto paterno, abbracciare le ginocchia di mio padre, intendere una parola di benedizione, e morire!".
      Sospirava e soggiungeva: "Se questo calice non può allontanarsi, o mio Dio, sia fatta la tua volontà!".
      E l'ultima mattina della sua vita disse ancora, baciando u n crocefisso che Kral gli porgea:
      Tu ch'eri divino, avevi pure orrore della morte, e dicevi: Si possibile est. transeat a me calix iste! Perdona se lo dico anch'io. Ma ripeto anche le altre tue parole: Verumtamen non sicut ego volo, sed sicut tu!
     
      CAPO LXXVII
     
      Dopo la morte d'Oroboni, ammalai di nuovo. Credeva di raggiungere presto l'estinto amico; e ciò bramava. Se non che, mi sarei io separato senza rincrescimento da Maroncelli?
      Più volte, mentr'ei, sedendo sul pagliericcio, leggeva o poetava, o forse fingeva al pari di me di distrarsi con tali studi e meditava sulle nostre sventure, io lo guardava con affanno e pensava: "Quanto più trista non sarà la tua vita quando il soffio della morte m'avrà tocco, quando mi vedrai portar via di questa stanza, quando, mirando il cimitero, dirai: 'Anche Silvio è là!"'. E m'inteneriva su quel povero superstite, e faceva voti che gli dessero un altro compagno, capace d'apprezzarlo come lo apprezzava io, - ovvero che il Signore prolungasse i miei martirii, e mi lasciasse il dolce uffizio di temperare quelli di quest'infelice, dividendoli.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
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