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      Sarebbe stato un gran guadagno questo per noi, se fosse durato. Tuttavia ne profittammo per parecchi mesi.
      Dopo la confessione, ei si fermava lungamente a conversare, e da tutti i suoi discorsi appariva un'anima retta, dignitosa, innamorata della grandezza e della santità dell'uomo. Avemmo la fortuna di godere circa un anno de' suoi lumi e della sua affezione, e non si smentì mai. Non mai una sillaba che potesse far sospettare intenzioni di servire, non al suo ministero, ma alla politica. Non mai una mancanza di qualsiasi delicato riguardo.
      A principio, per dir vero, io diffidava di lui, io m'aspettava di vederlo volgere la finezza del suo ingegno ad indagini sconvenienti. In un prigioniero di Stato, simile diffidenza è pur troppo naturale; ma oh quanto si resta sollevato allorché svanisce, allorché si scopre nell'interprete di Dio niun altro zelo che quello della causa di Dio e dell'umanità!
      Egli aveva un modo a lui particolare ed efficacissimo di dare consolazioni. Io m'accusava, per esempio, di fremiti d'ira pei rigori della nostra carceraria disciplina. Ei moralizzava alquanto sulla virtù di soffrire con serenità e perdonando; poi passava a dipingere con vivissima rappresentazione le miserie di condizione diverse della mia. Avea molto vissuto in città ed in campagna, conosciuto grandi e piccoli, e meditato sulle umane ingiustizie; sapea descrivere bene le passioni ed i costumi delle varie classi sociali. Dappertutto ei mi mostrava forti e deboli, calpestanti e calpestati; dappertutto la necessità o d'odiare i nostri simili, o d'amarli per generosa indulgenza e per compassione.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
pagine 201

   





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