Se fosse mio proposito di scrivere d'amore, mi resterebbero non brevi cose a dire di quella misera e virtuosa donna, - or morta Ma basti l'avere accennato uno de' pochi avvenimenti del nostro carcere.
CAPO LXXX
I cresciuti rigori rendevano sempre più monotona la nostra vita. Tutto il 1824, tutto il 25, tutto il 26, tutto il 27, in che ii passarono per noi? Ci fu tolto quell'uso de' nostri libri che per interim ci era stato conceduto dal governatore. Il carcere divenneci una vera tomba, nella quale neppure la tranquillità della tomba c'era lasciata. Ogni mese veniva, in giorno indeterminato, a farvi una diligente perquisizione il direttore di polizia, accompagnato d'un luogotenente e di guardie. Ci spogliavano nudi, esaminavano tutte le cuciture de' vestiti, nel dubbio che vi si tenesse celata qualche carta o altro, si scucivano i pagliericci per frugarvi dentro. Benché nulla di clandestino potessero trovarci, questa visita ostile e di sorpresa, ripetuta senza fine, aveva non so che, che m'irritava, e che ogni volta metteami la febbre.
Gli anni precedenti m'erano sembrati sì infelici, ed ora io pensava ad essi con desiderio, come ad un tempo di care dolcezze. Dov'erano le ore ch'io m'ingolfava nello studio della Bibbia, o d'Omero? A forza di leggere Omero nel testo, quella poca cognizione di greco ch'io aveva si era aumentata, ed erami appassionato per quella lingua. Quanto incresceami di non poterne continuare lo studio! Dante, Petrarca, Shakespeare, Byron, Walter Scott, Schiller, Goethe, ecc., quanti amici m'erano involati!
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