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      Il Signore le dia più che non dà a me, le virtù della pazienza e della abnegazione! Quante volte, nella sua cella, quell'angiolo penserà a me! quanto spesso farà dure penitenze per ottener da Dio che alleggerisca i mali del fratello!
      Questi pensieri m'intenerivano, mi straziavano il cuore. Pur troppo le mie sventure potevano aver influito ad abbreviare i giorni del padre o della madre, o d'entrambi! Più ci pensava, e più mi pareva impossibile che senza siffatta perdita la mia Marietta avesse abbandonato il tetto paterno. Questa idea mi opprimeva quasi certezza, ed io caddi quindi nel più angoscioso lutto.
      Maroncelli n'era commosso non meno di me. Qualche giorno appresso ei diedesi a comporre un lamento poetico sulla sorella del prigioniero. Riuscì un bellissimo poemetto spirante melanconia e compianto. Quando l'ebbe terminato, me lo recitò. Oh come gli fui grato della sua gentilezza! Fra tanti milioni di versi che fino allora s'erano fatti per monache, probabilmente quelli erano i soli che si componessero in carcere, pel fratello della monaca, da un compagno di ferri. Qual concorso d'idee patetiche e religiose!
      Così l'amicizia addolciva i miei dolori. Ah, da quel tempo non volse più giorno ch'io non m'aggirassi lungamente col pensiero in un convento di vergini; che fra quelle vergini io non ne considerassi con più tenera pietà una: ch'io non pregassi ardentemente il Cielo d'abbellirle la solitudine, e di non lasciare che la fantasia le dipingesse troppo orrendamente la mia prigione!


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
pagine 201

   





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