CAPO LXXXIII
L'essermi venuta clandestinamente quella gazzetta non faccia immaginare al lettore che frequenti fossero le notizie del mondo ch'io riuscissi a procurarmi. No: tutti erano buoni intorno a me, ma tutti legati da somma paura. Se avvenne qualche lieve clandestinità, non fu se non quando il pericolo potea veramente parer nullo. Ed era difficil cosa che potesse parer nullo in mezzo a tante perquisizioni ordinarie e straordinarie.
Non mi fu mai dato d'avere nascostamente notizie dei miei cari lontani, tranne il surriferito cenno relativo a mia sorella.
Il timore ch'io aveva, che i miei genitori non fossero più in vita, venne di lì a qualche tempo piuttosto aumentato che diminuito dal modo con cui una volta il direttore di polizia venne ad annunciarmi che a casa mia stavano bene.
S.M. l'Imperatore comandadiss'egli "che io le partecipi buone nuove di que' congiunti ch'ella ha a Torino."
Trabalzai dal piacere e dalla sorpresa a questa non mai prima avvenuta partecipazione, e chiesi maggiori particolarità.
Lasciaigli diss'io "genitori, fratelli e sorelle a Torino. Vivono tutti? Deh, s'ella ha una lettera d'alcun di loro, la supplico di mostrarmela!"
Non posso mostrar niente. Ella deve contentarsi di ciò. È sempre una prova di benignità dell'Imperatore il farle dire queste consolanti parole. Ciò non s'è ancor fatto a nessuno.
Concedo esser prova di benignità dell'Imperatore; ma ella sentirà che m'è impossibile trarre consolazione da parole così indeterminate. Quali sono que' miei congiunti che stanno bene?
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