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      Le cure d'infermiere mi erano dolci, perché usate a sì degno amico. Ma vederlo così deperire, fra sì lunghi atroci tormenti, e non potergli recar salute! E presagire che quel ginocchio non sarebbe mai più risanato! E scorgere che l'infermo tenea più verisimile la morte che la guarigione! E doverlo continuamente ammirare pel suo coraggio e per la sue serenità! ah, ciò m'angosciava in modo indicibile!
     
      CAPO LXXXVII
     
      In quel deplorabile stato, ei poetava ancora, ei cantava, ei discorreva; ei tutto facea per illudermi, per nascondermi una parte de' suoi mali. Non potea più digerire, né dormire; dimagrava spaventosamente; andava frequentemente in deliquio; e tuttavia, in alcuni istanti raccoglieva la sua vitalità e faceva animo a me.
      Ciò ch'egli patì per nove lunghi mesi non è descrivibile. Finalmente fu conceduto che si tenesse un consulto. Venne il protomedico, approvò tutto quello che il medico avea tentato, e senza pronunciare la sue opinione sull'infermità, e su ciò che restasse a fare, se n'andò.
      Un momento appresso, viene il sottintendente, e dice a Maroncelli: "Il protomedico non s'è avventurato di spiegarsi qui in sua presenza; temeva ch'ella non avesse la forza d'udirsi annunziare una dura necessità. Io l'ho assicurato che a lei non manca il coraggio".
      Sperodisse Maroncelli "d'averne dato qualche prova, in soffrire senza urli questi strazi. Mi si proporrebbe mai?.."
      Si, signore, l'amputazione. Se non che il protomedico, vedendo un corpo così emunto, èsita a consigliarla. In tanta debolezza, si sentirà ella capace di sostenere l'amputazione?


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
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