Ei non fu scarso della sua gentilezza, ma dovette pure lasciarmi.
Restato solo, avrei avuto bisogno di lagrime, e non ne avea. Perché talvolta mi fa il dolore prorompere in pianto, ed altre volte, anzi il più spesso, quando parmi che il piangere mi sarebbe si dolce ristoro, lo invoco inutilmente? Questa impossibilità di sfogare la mia afflizione accresceami la febbre: il capo doleami forte.
Chiesi da bere a Stundberger. Questo buon uomo era un sergente della polizia di Vienna, faciente funzione di cameriere del commissario. Non era vecchio, ma diedesi il caso che mi porse da bere con mano tremante. Quel tremito mi ricordò Schiller, il mio amato Schiller, quando, il primo giorno del mio arrivo a Spielberg, gli dimandai con imperioso orgoglio la brocca dell'acqua, e me la porse.
Cosa strana! Tal rimembranza, aggiunta alle altre, ruppe la selce del mio cuore, e le lagrime scaturirono.
CAPO XCVII
La mattina del 10 settembre abbracciai il mio eccellente commissario, e partii. Ci conoscevamo solamente da un mese, e mi pareva un amico di molti anni. L'anima sua, piena di sentimento del bello e dell'onesto, non era investigatrice, non era artifiziosa; non perché non potesse avere l'ingegno di esserlo, ma per quell'amore di nobile semplicità ch'è negli uomini retti.
Taluno, durante il viaggio, in un luogo dove c'eravamo fermati, mi disse ascosamente: "Guardatevi di quell'angelo custode; se non fosse di quei neri non ve l'avrebbero dato".
Eppur v'ingannategli dissi "ho la più intima persuasione che v'ingannate.
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