Colà pregando e meditando io piansiLe natìe abbandonate Itale sponde,
E il focolar lontano, ove la madreEd il padre e i fratelli erano assisi,
E piansi in un mie tenebre, miei dubbi,
Mie passïoni, ed il perduto Iddio!
Perduto, no, per me non era! e il lumeDi lui mi sfolgorava alcune volte
Sì che sparìan le tenebre, e di novoIo mandava dal core inni di gioia.
Ma tempi erano quei di non veraceFilosofia, sulle rovine sorta
Di molti altari, e sovra molto sangue;
E la Gallica terra, infra sue pesti,
Di sacerdoti rinnegati avanzoChiudea velenosissimo; e i più feri,
Più studïosi e scaltri eran nemiciDe' sacri templi, rïaperti allora,
E dal Corso magnanimo scettratoArditamente in onoranza posti.
Un di que' Giudi inverecondi a' passiMiei s'attaccò: l'ornavan lusinghieri
Eletti modi, e pronto ingegno, e il focoDe' sottili motteggi scoppiettanti,
E facile parola, e d'infinitiLibri conoscimento, e quell'audace
Sentenzïar che sicuranza appare.
Sommessa voce ripetea d'orecchioIn orecchio: "Ei fu monaco"! E la macchia
Sciagurata d'apostata sembravaSedergli orrenda sulla calva fronte,
E dir: "Nessun più sulla terra l'ami!"
E nessun più l'amava, e nondimenoAscondean tutti l'intimo ribrezzo,
E cortesi accoglieanlo, e davan plausoAlla dolce arte della sua favella.
Quella canizie al disonor devotaOrror metteami e in un pietà. Più giorni
L'esecrai, l'osservai, gli porsi ascoltoCome a stupendo rettile, e gli chiusi
I miei pensieri; indi scemò l'occultoRaccapriccio, e piegai più tollerante
L'alma alle grazie di quel falso ingegno.
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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Itale Iddio Gallica Corso Giudi
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