Oh pe' giovani cuori alta sventuraLo scontrarsi in sagaci empi, che fama
Di lunghi studi grandeggiar fa al guardoDell'attonito volgo, e d'intelletti
Che pur volgo non sono! Al rinnegato,
Pur non amandol, mi parea di stimaIr debitor per l'inclite faville
Del possente suo spirto, e palesavaEi di mia riverenza e d'amistade
Gentil, singolar brama; e questa bramaEra al mio stolto orgoglio esca gradita.
Lunghe non fur tra noi le avvicendateConfidenze ed indagini, e m'invase
Giusto corruccio, e da colui mi svelsi:
Ma le illudenti sue dottrine, a guisaDi succhiante invisibile vampiro,
Stavan su me, riedean cacciate, e furmiA tutti i giovanili anni tormento.
Più vivo in me si raccendea l'amoreDelle case di Dio, quando rividi,
Bella Italia, il tuo sole animatore,
E m'accolsero i cari Insubri lidi,
Dove gli avi mostrar quanto al SignoreFosser devoti e a grande intento fidi;
Tal sacra ergendo maestosa mole,
Che a lodarla il mortal non ha parole.
Troppo ancora in Milan l'anima miaTra giochi e alteri studii vaneggiava,
E glorïosi amici e fama ambìa,
Ed ogni dì più folli ombre afferrava.
Ma pur di salutar malinconiaFrequente un'ora i gaudii miei turbava,
E al tempio allora io rivolgeva il piede,
E in me scendea consolatrice fede.
E l'amato mio Foscolo infelice,
Sebben lui fede ancor non consolasse,
Talor volea con umile cerviceMescersi all'alme per cordoglio lasse,
Che la bella de' cieli Imperadrice
Imploravan che a lor grazia impetrasse;
E quando al tempio a sera ei mi seguiva,
Indi commosso e pensieroso usciva.
Oh quante volte insiem quella scalea
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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