Allor fu che la folgor mi colpiva,
E ogni mortal mio giubilo andò franto,
E in man mi vidi d'avversario forte,
Me condannante a duri ceppi o morte.
Oh lunghi di catene e d'infinitiStrazi del core inenarrabili anni!
Ed oh! com'anco in giorni sì abborritiMia fantasia godea sciogliere i vanni,
E fingersi ogni sera entro i graditiTempli, ed ivi esalar gli acerbi affanni!
Poche amate persone e i patrii altariErano allora i miei pensier più cari!
Oh quai mi parver secoliQue' primi anni di duolo,
In che fra mura squallideVissi cruciato e solo!
Nè mai con altri suppliciSorgea la prece mia,
Ed il desìo del tempioLa pace a me rapìa!
Mi si pingeano i fervidiReligïosi incanti,
Le grazie che sfavillanoD'in sugli altari santi:
E di Davidde i gemiti,
E gli avvivanti lumi,
E le armonie dell'organo,
E i mistici profumi,
E l'ineffabil agape,
Ove il Signore istessoPasce e solleva ad inclite
Speranze l'uomo oppresso.
Allor la vil perfidiaDel mondo io ricordando,
Dare ai profani giolitiGiurava eterno bando,
E con insonni pàlpebre,
E con preghiera accesaChiedea versar mie lagrime
Ancora entro una chiesa.
Mi sovvenian le placide,
Ombre de' monasteri,
E le velate vergini,
Ed i romiti austeri:
E tormentosa invidiaPrendeami di que' petti
Ch'appo gli altari effondereDoglia potean e affetti.
Ma in quella mia nel carcereBrama de' sacri ostelli,
Söavi sensi teneriPur si mescean novelli.
Rendeva al Cielo io grazieChe i genitori amati
Piangere almen potesseroAnzi all'altar prostrati.
Anzi all'altar che ai miseriSol può istillar virtute,
Che rïalzar può l'anime
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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Davidde Cielo
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