D'amor favilla avea per Dio nodrita,
Ma pur sovente dal demòn superboDelle dubbiezze invaso avea lo spirto.
E certo le dubbiezze eran flagelloDa Dio permesso, perchè umìl non era
Di quel giovin lo spirto, e si credeaD'altissima natura, atto all'acquisto
D'ogni saper cui non s'aderge il volgo;
E lungh'ore ogni dì sedea solingoFra libri ottimi e pessimi, e scrutava
La verità - dimenticando spessoD'invocarla dal ciel. Ma in quel gran giorno
Dell'adorabil pompa, in quel momentoChe a mille a mille si prostràr gli astanti,
Ed anch'egli prostrassi; il giovin, pienoPoco prima di tenebre, una luce
Vide novella, e umilïò l'alteroIntelletto con gioia, e senza orgoglio
Fu per più giorni e immacolato e forte.
E quando quell'audace irrequïetoTornava a' suoi deliri, investigando
Con indagin profana alti misteri,
Scontento si sentiva e sen dolea;
Ed in sè di quel giorno Lugdunense
La ricordanza ridestava, in cuiS'era con fede innanzi a Dio gettato;
E tale avventurosa ricordanzaLui consolava, e gli rendea sovente,
Od accresceagli della fede il raggio!
V'amo, o Processïoni! e v'amo tutte,
Pubbliche preci dalla Chiesa alzateAd inforzarci in perigliose lutte!
Io son quell'un, che da dubbiezze ingrateAfflitto in gioventù, pur vi cercai,
Ed hovvi schiettamente indi onorate.
E non sol nelle feste, ove, i suoi raiNascondendo, intervien l'Ostia divina,
D'indicibil dolcezza io m'esaltai;
Ch'ovunque l'uom pregando pellegrinaAffratellato al suo simìle e canta,
Sento un poter che a Dio mi ravvicina.
Quant'amo l'adunanza umile e santa
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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