Cui son limite l'alpi da lontano.
Di bellezza uno spirito e d'amoreDiffuso è là sui monti, e là sul piano,
E qui sui poggi, e sui due fiumi, dondeAccarezzan Taurin le amabil onde.
Il vate ed il pittor vedrà un incanto;
A sì bel quadro unirsi novo ancora:
Escon le forosette in bianco ammantoDa diversi tuguri anzi all'aurora,
Ed affrettano il passo al loco santo,
Ove la campanetta suona l'or;
Passar indi tra questo albero e quelloVedesi colla Croce il pio drappello.
Pingetemi raggiante dall'Empiro
Degli Angiol la Regina che sorride:
Dicesi che talor nel sacro giroDelle Rogazïoni alcun lei vide;
Dicesi che commossa dal sospiroDi quell'anime semplici a lei fide,
Col divin Figlio i campi benedisse,
Nè gragnuola per molti anni li afflisse.
E belle son le suppliciPompe di penitenza in alto lutto,
Quando da morbo orribileA gran terrore un popolo è condutto.
Per alcun tempo attonitePortano le cittadi il flagel rio,
Indi, poichè ogni provvidaArte inutile appar, volgonsi a Dio.
Ed allor sorgon uominiPer eloquenza e santo cor sublimi,
E con ardir magnanimoRinfacciano lor colpe ai grandi e agl'imi.
Della rampogna ridereVorrìa il perverso, e già il malor lo afferra:
Jeri con vil tripudioOpprimea l'innocenza, oggi è sotterra.
Prendon la Croce gli umili,
E più d'un già superbo anche la prende,
E il penitente canticoDa migliaia di cuori al cielo ascende.
Religïon fortificaGli animi che depressi avea paura,
E quindi all'aer maleficoPiù robusta resiste anco natura.
Religïon le torbideCoscïenze deterge, indi le calma,
E più efficaci i farmachi
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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