E ciascun dal palagio ov'oggi han regnoLe dolorose infermità e la morte,
Riede a sue ricche sale, o al suo tugurio,
Più memore del cielo e più benigno.
Nè spettacol men alto è quando traggeIl Pan celeste al miserando letto
Dell'indigenza. Fra lo stuol seguaceDell'adorabil visita divina,
Donna s'annovra illustre e generosa,
Ben conscia già di luride scaleeE di covili ov'han mendici albergo.
Ed ella dietro al Salvatore ascendeAlla povera stanza; e gentilmente
Del suo splendido stato si vergogna,
Ed aïtar tutti vorria gli afflitti.
Egra giace una vedova, ed intornoLagrimosi le stanno i figliuoletti
Della fame dimentici, e accoratiSol perchè temon pe' materni giorni.
Della Comunïon pur non vorrebbeQuesta mirarli nel solenne istante;
Pensar vorrebbe solo a Dio; ma gli occhi,
Pensando a Dio, ricadon sovra i figli,
E s'empiono di pianto. - "Oh figli miei!
All'infrenabil mio materno luttoDeh non badate, e voi consoli Iddio!
A lui vi raccomando: ei padre ognoraFu de' pupilli derelitti; piena
Fiducia abbiate in lui!
Così l'infermaGeme ed abbraccia ad uno ad uno i cari;
Poi, vinta dall'angoscia, obblia di nuovoLa voluta fiducia, e per delirio.
Lamentosa prorompe: "Oh delle mieViscere amati frutti! ov'è chi prenda
Cura di voi, quand'io sarò sotterra?
- Per mezzo mio li aiuterà il Signore!"
Dice l'illustre donna ivi prostrata;
E s'alza, ed alla vedova giacenteLe braccia stende, e al sen la stringe; e questa
Effonde il core in voci alte di gioia,
Dicendo: "Io moro consolata! a' figliChe in terra lascio, resterà una madre!
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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