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      Assai meno, assai meno infeliceDi chi muor senza luce d'ammenda
      È colui che da legge tremendaVien dannato a precoce morir!
      Fur gravissimi forse i delittiChe macchiaron la vita del tristo;
      Ma piangendoli a' piedi di Cristo,
      Spera in ciel perdonato salir.
     
      Ed anco a tal dannato a fera morteReligïon moltiplica sua cura:
      Ella sola al gran passo il rende forte,
      Che vinta da terror fora natura.
      Arrivato d'un tempio appo le portePerchè il fermano? Oh ciel! che raffigura?
      Dall'altar mossa l'Ostia avvivatrice,
      Conforta ancor la vittima infelice.
     
      E la vittima piange benedettaL'ultima volta dal Signore in terra,
      E con più vigoroso animo accettaLa fune onde il carnefice la serra:
      Che è mai la morte al misero che aspettaGrazia colà, dove non è più guerra?
      Ch'è mai la morte all'uom quaggiù imprecato,
      Se Iddio gli dice in cor: "T'ho perdonato!"
     
      Le varie pompe tutteUopo non è che annovri il verso mio,
      Onde sovente addutteL'anime sono a rammentarsi Iddio,
      E onde abbelliti vannoDi vita il corso ed il postremo affanno.
     
      Io tutte v'amo. quanteIstitüì la provvidente Chiesa
      Processïoni sante!
      Sol per la mente a basse cose intesa,
      Il senno dell'altareNon benefizio, ma stoltezza appare.
     
      Io v'amo, o pompe! ed amoPur la più mesta; quella in cui giacente
      Nel fèretro seguiamoIl simil nostro, che di nobil ente
      Sulla terra mutossiIn carne data a' vermi e in poveri ossi.
     
      Oh commovente garaIl congregarsi ad onorar per via
      La sventurata bara!
      L'alzare ancora in fùnebre armoniaUn voto pel fratello,
      Di cui le spoglie inghiottir dee l'avello.


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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino
1837 pagine 291

   





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