O d'alta poesia la fean gioconda.
Sempre onoranza fra i più cari amiciRese al canuto Giovio venerando,
E sue parole di virtù motriciCon benevol desio stava ascoltando,
E a lui diceva: - "Anch'io giorni feliciHo sulla terra assaporati, quando
Innamorata ancor la mia pupillaVedea quel Nume che a' tuoi rai sfavilla".
E Giovio protendendo a lui la mano,
Paternamente gli diceva: - "Io spero,
Io per te spero assai, perocchè umanoE magnanimo ferve il tuo pensiero!
Invan t'ostini fra dubbiezze, invanoDella grazia ricàlcitri all'impero:
Iddio t'ama, ti vuol, nè ti dà pace,
Sinchè d'amor non ardi alla sua face".
Tai detti al cor scendean del generosoChe il bel profondamente ne sentiva;
E al vecchio amico rispondea: - "Non osoSperar che in mar cotanto io giunga a riva;
Ma vero è ben che più non ho riposo,
Dacch'egli è forza che dubbiando io viva,
E un dì tua sicuranza acquistar bramo,
E il mister della Croce onoro ed amo".
E siccome al buon Giovio sorrideaCon ossequio amantissimo di figlio,
Così sul mio Manzoni Ugo volgeaQuasi paterno, glorïante ciglio:
In esso egli ammirava e prediceaDi fantasìa grandezza e di consiglio,
Forte garrendo, se taluno ardìaDi Manzoni schernir l'anima pia.
Tal eri, o mio sincero Ugo; e più volteIo pure udii tuoi gemiti secreti,
Qualor non prevedute eransi accolteSu te cause di giorni irrequïeti.
La guancia t'aspergean lagrime folteRicordando i fuggiti anni tuoi lieti:
- "Percuotenti, sclamavi, un Dio tremendo,
Che offender non vorrei, ma certo offendo!"
Allora a dimostrar che titubante
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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