E parmi che sua voce il cor mi tempre.
Negli estremi suoi dì quanto, o Signore,
Altamente parlommi ei del Vangelo!
Come esclamò che il rimordeano l'oreA gioie, a larve, e non sacrate al cielo!
Ah, que' detti m'affidano, e m'affidaLa tua clemenza, e lui beato io spero!
Ma se ancor dolorasse, odi mie grida,
Aprigli i gaudii del tuo santo impero.
Debitor fui di molto a Lodovico:
Sprone agli studii miei si fea novello;
Ai dolci amici suoi mi volle amico,
E più al suo prediletto Emmanuello(2).
Ma in ver di Ludovico io l'amiciziaIngratamente troppo rimertai,
Fera in quegli anni m'opprimea mestizia,
Nè a lui la vita abbellir seppi io mai.
Con indulgenza infaticata il pondoEi reggea di mia trista alma inquïeta,
E spesse volte da dolor profondoA sorriso traeami e ad alta meta.
Per forte impulso de' suoi cari accentiEnergìa forse conseguii più bella:
Quell'energìa perch'uomo infra i tormentiSoffoca i lagni, e indomito s'appella.
La facondia, l'amor, la pöesiaPerscrutante e gentil de' suoi pensieri
Luce nova sovente all'alma miaDavan cercando i sempiterni veri.
Quante fïate a' gravi dubbii mieiMosse amichevol, generosa guerra,
E me dai libri tracotanti e reiSvelse di lor, cui senza Dio è la terra!
Se arditi di sua mente erano i voliQuando la mente ei di Platon seguiva,
Pur temev'anco di ragione i dòli,
Ed a' piè dell'altar si rifuggiva.
Te sorpreso di morte sì precoce,
Deh! amico, non avesse il fero artiglio!
Più fido mi vedresti ora alla Croce,
Più concorde or sarìa nostro consiglio.
E tu stesso maestri avendo gli anni,
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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