A' rei socii sorride, esce del chiostro,
E l'arme sotto il manto asconde il mostro.
Sì! del truce delitto ei socii avea!
Ed appunto i supremi del convento!
Eran tre questi indegni, e li stringeaD'infernale amicizia giuramento.
Lor chiostro che di santi un dì fulgea,
Fatto avean di turpezze abitamento.
Ministro e amico loro astuto e forteEra colui che or volge opra di morte.
Uscito appena il perfido omicida,
Guardansi e impallidiscono i preposti,
E un di costoro all'assassino grida:
Riedi! il sappiam che intrepido ognor fosti;
Questo novo cimento or mal t'affida;
Riedi! sii obbedïente a' cenni imposti!"
Ma in covil di superbia e di licenzaVano e risibil nome è obbedïenza.
Ahimè! questi prorompe, ei non m'ascolta!
Che faceste, o compagni, a suscitarlo?
Gagliarda fu l'offerta sua, ma stolta,
Di tor dal mondo l'esecrato Carlo.
Sempre scherniste di dolore avvoltaLa presaga alma mia, ma il vero io parlo:
Tanto di colpa in colpa osi vi feste,
Che omai l'abisso a tutti noi schiudeste".
Codardo! esclama un de' compagni; pensaChe ognor la sorte al nostro messo arrise;
La sua destrezza in tutte imprese è immensa,
E altre volte le man di sangue ha intrise.
Move or egli ad oprar fra turba densa,
E fian le menti da terror conquise,
Sì che non arduo esser gli dee celarsi,
E illeso nelle tenebre ritrarsi".
Il terzo ostenta egual baldanza, e dice:
Purch'egli atterri il Vescovo odïato!
S'anco andasse scoverto l'infelice,
E in ferri tratto, e a morte strascinato,
Chi potrà dimostrar ch'eccitatriceFosse la nostra voglia all'insensato?
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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Carlo Vescovo
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