Al venerevol Carlo inni alzeremo,
E il suo uccisor cogli altri imprecheremo".
Intanto l'omicida affretta il passo,
E sui preposti a sogghignar si sforza;
Sembragli il loro cor vigliacco e basso,
Quand'è più d'uopo irremovibil forza;
E dice: "Io ben son certo che a me lasso,
Se la prospera stella oggi si smorza,
Intenti solo ad evitar lor danno,
Costor l'amistà mia rinnegheranno.
Spero che gioïrò di mia vittoria,
Ed eroe da lor labbra udrò chiamarmi!
Quel Carlo ch'ogni nostra ascosa istoriaInvestigare osava e minacciarmi,
Vedrà come del lituo anzi la boriaPer la salute del mio chiostro io m'armi!
Ma s'io perir dovessi?... oh allora tuttoMeco trarrò l'empio convento in lutto!"
Giunge il ribaldo al vescovil ricinto,
Ed ascende al tempietto, ove il Pastore,
Da' famigliari sacerdoti cinto,
La preghiera seral porgea al Signore.
Ivi d'oranti assai stuolo indistintoPïamente con esso effondea il core:
Palpita mal suo grado l'omicida,
E ancor "Ti penti!" l'angiol suo gli grida.
Ma soffocò tutti i rimorsi, e riseDell'angiol suo e di Dio, come di larve.
Con ira gli occhi sovra Carlo affise,
Ed esecrando zelator gli parve.
A liberarne il mondo si decise,
E certo il proprio scampo gli trasparve;
Allo scoppiar dell'avventata morteRatto balzar fidava oltre le porte.
Salmi sciogliendo il Presul benedetto,
Quel nobil verso di Davìd dicea:
Non si turbi, nè tremi ora il mio petto!
Quand'ecco sfolgorar la canna rea.
Al fero tuono, ognun d'ambascia strettoDal suol sorgendo, "Ov'è il fellon?" chiedea.
Da tergo il colpo giunto era su Carlo,
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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