Par che delizïato il suo bel coreOgni affannoso sentimento espella;
Ma questa d'eleganti arti reginaNutre d'egregi fatti ansia divina.
E color che l'ammirano raggianteD'ingegno e grazia in suoi ridenti crocchi.
Ignoran che fissati ha poco avanteSopra miseria spaventosa gli occhi;
Che sua candida man dianzi tremanteAlzò il mendico prono a' suoi ginocchi;
Che il delicato piè stanco or riposaD'aver recato ad egri aïta ascosa.
De' suoi giorni in sull'alba acerba morteRapito a lei la dolce madre avea;
Ma il padre in sen chiudeva anima forte,
Anima avversa ad ogni bassa idea:
Ei della figlia le pupille accorteVolgere a desideri alti sapea:
Pensante crebbe, e in ogni tempo ambìoIl sorriso del padre e quel di Dio.
Data fu la sua destra a mortal degnoDi tesauro sì bello e invidïato.
Lontana dal natìo, gallico regno,
Mosse al diletto suo compagno a lato:
Non mirò i novelli usi con disdegno,
Non portò di straniera orgoglio usato:
Amò la nova patria, amò l'antica,
Visse de' giusti d'ogni lido amica.
Il livor de' volgari alla gentilePerdonò l'esser nata in altre sponde,
Tanto le piacque farsi a noi simìleAvvezzando le sue labbra faconde
Non solo al bel, sonante italo stile,
Ma al dïaletto che di Dora all'onde,
E in tutte le dolci aure subalpine,
Bench'irto, par che ad amicizia inchine.
Ai genitori dell'amato sposoAbbellì reverente i vecchi giorni,
Però che ognor fu suo pensier pietosoChe da nostr'opre gloria al Signor torni,
E da noi con amor religïosoLa voce del vicin di rose s'orni,
E dal Ciel maggiormente al dolce sesso
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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Dio Dora Ciel
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