Chè troppo da vicin veggo profaneOpre d'assai maligna e vil genìa,
Sì che gemendo alle speranze vaneDi chi grida, or regnar filosofia,
Io non ami onorar que' vetust'anniDi cui non sento almen tutti gli affanni.
Da qual lato pur penda la bilanciaDe' meriti maggiori e de' delitti,
Gode la fantasìa quando si slanciaFra monumenti o per magìa di scritti
In mezzo a quelle stirpi use alla lancia,
Alle preghiere, ai mistici conflitti,
Ai romeaggi, ai ruvidi cilìci,
A tutta l'energìa de' sacrifici.
E ciascun che non basso abbia l'ingegnoAmmira que' giovanti cenobiti,
Ch'oggi il diffamator con riso indegnoPinge ozïosi, inutili, insaniti:
Senza i loro intelletti, avrebbe il regnoD'ignoranza coverto i nostri liti:
Ingratitudin dementò la terra,
Quando in sua civiltà lor mosse guerra.
L'anima langue e impicciolisce quandoLa ristringiam ne' quattro dì presenti:
Nobil uopo ha di spargersi, abbracciandoAvi e imperi e costumi e grandi eventi:
Uopo ha di meditar, commiserandoCoi nostri error quei delle scorse genti:
Uopo ha d'uscir di sue natìe catene;
Ogni tempo, ogni spazio le appartiene.
Tale, o Donna pensante e generosa,
Tal è l'arcano che ti molce il core,
Gli occhi ponendo su vetusta cosa,
E più se esprime santità ed amore.
Dove non sorge l'alma tua pietosaCon questo antico libro del Signore,
Che già posò su chi sa quali altariA' giorni de' Crociati e de' Templari?
A que' dì tu vi scorgi il Re Luigi
Forse vivente ancora, o appena estinto,
La sua bontà, il suo senno, i suoi prodìgi,
I prodi cavalieri ond'era cinto,
Il suo partir dai campi di Parigi
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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Donna Crociati Templari Re Luigi Parigi
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