Verso le regie case, un mar parea,
Che traripando inondi la campagna,
E le universe voci, ancor ch'allegre,
Rombavan sì moltiplici e sì ferme,
Che la tremenda ricordavan fogaDi città che o si scagli alla rivolta,
O per subiti incendi o per tremotoImpetüosa dagli alberghi spanda
Uomini e donne, e per le vie cozzanteStrilli fuggendo la insensata turba.
Si discernea ch'ell'era gioia, e pureEra una gioia che mettea spavento.
A quel mar traripato argine intornoIncrollabil si feano estesi armenti
D'italici corsieri e di tedeschi,
Affrenati da' prodi, irti di lance,
E le precipitose onde gigantiS'agitavan represse gorgogliando.
In tali urti di gente il buon Romeo
Da una parte fu spinto, e da altra parteSpinto venne il suo figlio, e vanamente
Qua e là si cercan lungo tempo un l'altro,
E a chiamarsi a vicenda alzan la voce.
Il sole iva all'occaso, e detto avrestiCh'ei discendesse in mezzo al gregge umano,
Tutto affollato sulla immensa terra.
Quella vista, e la splendida vaghezzaDe' nugoletti occidentali, e il molle
Nell'aere della sera innominatoReligïoso incantamento, e in blandi
Fremiti omai converso il fracassìo,
Ed a que' blandi fremiti commistaLa grata dissonanza or de' nitriti
Che le briglie scotendo alza, presagoDella vicina stalla, il corridore;
Or di persone salutanti, o mosseA subitanee risa; or d'allungato
Grido di chi da lunge appellar sembraCon dolce affetto un qualche suo smarrito,
De' trovadori commovea lo spirto.
Alle söavi rimembranze è schiuso,
Più in quella vespertina ora che in altreDell'intero suo giorno, il cor dell'uomo,
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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Romeo
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