Di là scagliossi alla città del tronoE de' cento felici incliti alberghi,
E delle orrende mura ove trascinaSua catena Ebelin. Desta il demonio
Ne' giudici, che Ottone a indagin chiamaDell'alta causa, aneliti vigliacchi.
Temon, se reo non trovan l'accusato,
L'ira d'Otton, l'ira d'Augusta, l'iraDi quel Guelardo che per essi or regna;
E dove il trovin reo, speran più pinguiGli onorati salarii, e maggior lustro.
Chi primiero è fra' giudici? Oh impudenzaGuelardo stesso!
Oh come il core all'empioNondimen trema, udendo che s'appressa
L'irreprensibil catenato! E questiEntra con umil, sì, ma non prostrato
Animo, e reca sulla smorta fronteQuell'alterezza ch'a innocenza spetta.
Cela Guelardo il suo tremore, e prendeCosì ad interrogar:
- Qual è il tuo nome,
O sciagurato reo?
- Sono Ebelino
Da Villanova, amico tuo.
- RigettoL'amistà d'un fello: giudice seggo.
Che macchinasti co' Lombardi?
In visoL'accusato guardollo, e non rispose.
E Guelardo: - A lor trame eri secretoEccitator; t'offrìan lo scettro, e pronta
Stava tua destra ad accettarlo in giornoCh'ansio esitavi a stabilire, in giorno
Che, la mercè di Dio, non è spuntato.
V'ha fra i complici tuoi chi tua perfidiaAl tribunale attesta.
E poichè mutoSerbavasi Ebelin, vengon a un cenno
Que' testimoni nella sala addotti.
Eran duo di que' truci esclamatoriDi libertà, di civiche vendette,
Di patrio amor, che ne' consessi audaciDella rivolta più fervean, più scherno
Scagliavan sui dubbianti e sovra i miti,
E più capaci d'affrontar qualunqueParean supplizio, anzi che mai parola
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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