Di codardia pel proprio scampo sciorre.
Questi eroi da macelli, questi atrociOstentatori d'invicibil rabbia,
Come fur tolti a lor gioconde cene,
E gravato di ferri ebbero il pugno,
E il patibolo vider, - tremebondiQuasi cinèdi, le arroganti grida
Volsero in turpi lagrime e in più turpiEsibimenti di riscatto infame,
Altre teste al carnefice segnando.
Ad Ebelino in riveder coloroIsfuggì un atto di stupor: - Voi dunque?
Voi?... Ma, qual maraviglia? Oh! ben a drittoIo sempre le feroci alme ho spregiato,
E ben diceami il cor quali voi foste!
Ed appunto perchè troppe vid'ioAlme siffatte là nelle congrèghe
Ove il mio plauso si cercava indarno,
E pochi vidi eccelsi petti, avversiAd insolenza e a stragi, io mestamente
Presentii di mia patria obbrobri e pianto,
S'ella sorda restava a' preghi miei,
E alle minacce mie, quando insensataIo vostr'impresa nominava e iniqua.
I testimoni balbettaro, e fisiGli occhi loro in Guelardo, il concertato
Calunnïar sostennero. EbelinoPiù non degnolli di risposta, e chiese
D'esser condotto anzi ad Ottone a cuiParlar volea.
Respinge inutilmenteGuelardo quest'inchiesta, e così forte
La ripete Ebelin, ch'un de' sedutiA giudicarlo generoso alzossi,
Sclamando: - La tua brama, o il più infeliceFra gli accusati, porteranno al trono
Le labbra mie.
Null'uom potè di quellaAnima schietta rattenere i passi:
Move all'Imperador, franco gli parla,
E il pio monarca inducesi al colloquio.
Mentre dunque l'afflitto incoronatoNelle regali, splendide pareti
Aspettava che a lui tratto venisseIl già caro Ebelin, nella memoria
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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