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      Piena dell'odio che in lui versan milleDella viltà degli uomini memorie!
      E feroce si resta, e di sè stessoS'inorridisce e sclamasi: - "Son io,
      Benchè non conscio di mie colpe, un empio?"
      E chiedesi all'Eterno, e lungamenteChiedesi invan, d'amore una scintilla!
      Quelle angosce conobbe anco Ebelino,
      Ed allora invisibile al suo fiancoSàtan sedeva, e gli pingea coll'arte,
      Ch'è propria a lui, tutto che meglio ad iraE a disperazïon trarlo potesse.
      Ed Ebelin pur resistea, e pensava,
      In mezzo alle sue smanie, all'Uomo-Iddio,
      Che sublimò i dolori, e fu ludibrioD'ingrati e di crudeli: e quel pensiero,
      Che insensatezza all'occhio è de' felici,
      Insensatezza non pareagli, ed altaStoria pareagli che gli oppressi in tutti
      Lor martirii nobilita; e volgendoQuella storia ammiranda, a poco a poco
      Ammansava gli sdegni e perdonava.
      Ma la parte del cor, che più dolenteSanguinava, era quella ove scolpite
      Stavan due care fronti. Una è la fronteDella madre decrepita che in pace,
      All'ombra degli altar, da parecchi anniViveasi in Quedlimburgo, e l'altra è quella
      Della madre d'Augusto. Ambe le anticheSerrava il chiostro istesso, e raramente
      Alla reggia venìan; che ad Adelaide
      Odïosa la reggia erasi fattaPer l'imperar della superba nuora.
      - Qual sarà stato di mia madre, e qualeDell'onoranda Imperadrice il core,
      Allorchè udir la mia sventura? IniquoEsse, no, non mi tengono! Esse almeno,
      Mentre a tutti i mortali il nome mioIn abbominio fia; caro l'avranno!
      Così geme Ebelino. Un dì, ottenutoLa madre alfine ha di vederlo, e scende
      Alla prigion del figlio.


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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino
1837 pagine 291

   





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