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      Di nevose bufère, ognor la dolceNostra infanzia mi torna alla memoria,
      Quando, arridenti il padre suo ed il mio,
      O di soppiatto noi dalle castellaUsciti, incontravamci appo la riva
      Congelata del Pellice, e lung'oraQua e là sdrucciolon ci vibravamo
      Ridendo e punzecchiandoci e luttando,
      E sul ghiaccio cadendo, e (bozzolutaIndi spesso la fronte o insanguinata)
      Tornando a casa lieti e tracotanti.
      Allora il padre suo, se all'un di noiVedea della caduta in fronte il segno,
      Chiedevagli: "Hai tu pianto?" Ed il feritoGridava: "No. o Ed a tal risposta il vecchio
      Lo prendea fra le braccia e lo baciava,
      L'amor lodando de' perigli e il gaioScherno d'un mal, che sol le carni impiaga,
      E nulla può sull'anima del forte.
      Un dì, com'or, fioccava a larghe faldeDi dicembre la neve, ed ambo agli occhi
      De' parenti sottrattici e de' serviDiscendemmo ciascun nostra pendice,
      E ai cari ghiacci convenimmo. AssaiSdrucciolammo e ruzzammo, e le condense
      Pallottole durissime a diversaMeta lontana, in alto o pe' dirupi,
      Scagliammo a gara, acute urla di gioiaRipercosse da acuti echi levando.
      Men da stanchezza mossi che da fameCi abbracciamo, e ciascun monta i suoi greppi
      Anelante alla cena. A quando a quandoCi volgevam guardandoci, ed allora
      Che, già molto remoti, un veder l'altroPiù non potea, salutavamci ancora
      Con prolungati affettüosi strilli;
      E questi udìansi dalle due castella,
      E mia madre s'alzava, e tremebondaAl balcon della torre s'affacciava,
      Incerta se di gioco o di doloreVoci eran quelle. Ah! in voci di dolore
      Odo mutarsi quella sera infatti


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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino
1837 pagine 291

   





Pellice