La stima ten compensi in ch'io ti tengo."
Qual della inimistà la cagion fosseDe' duo generosissimi, in diversi
Inni diversamente i trovadoriCantan d'Italia. Applaudon gli uni a Irnando,
Che, ito in Lamagna giovinetto, ad unoDe' contendenti re sacrò il suo ferro;
Altri a Camillo applaudon, che s'accesePel secondo aspirante al real trono,
Ma aspirante illegittimo. SperaroCamillo e Irnando un l'altro süadersi
All'abbracciata parte. E l'un de' duo,
Non si sa qual, trascorse a villanìa.
Furor di fazïon trasse dapprimaQuesto e quello davvero a stimar vile
Il già sì caro amico. Assai paleseDelle avversarie crude ire sembrava
L'iniquità ad Irnando: ei non poteaCreder che onesto intento in alcun fosse,
Il qual per esse parteggiasse. Al pariA Camillo parea dell'altra causa
Evidente l'infamia essere al mondo.
In qualunque dei duo fallisse primoLa carità di confratello, e germe
Altro o no di rancor vi si aggiungesse,
Furon veduti inferocir nel campoCome leoni. Ma l'atroce guerra
E l'alterna fortuna delle insegneLoco porgean a esercitar da entrambe
Parti eccelse virtù. Cento fïateCamillo e Irnando, ad ammirarsi astretti,
Dicean ciascun tra sè: "L'amico mio,
Sebben malvagio, egli è un eroe pursempre!"
Già quegli anni di sangue or son passati;
Già molte spente sono illusïoniNelle agitate lor menti guerriere,
Benchè in età ancor verde. Eppur concordiaLor generose palme, ahi! non rinserra.
Beato d'una sposa era anche Irnando,
E questa il dolce avea nome d'Elina,
E di più figli era già madre. Il cieloDato le ha cor fervente, ed intelletto
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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