Veder tuo dolce volto, e palesartiUn mio desìo.
- Qual? le dimanda Elina.
- D'ottener tua amistà, di consolarmiTeco de' miei dolori.
- E che? InfeliceSei tu? Come?...
E nel troppo acceleratoImmaginar, già Elina e il cavaliero
Presumon ch'ella fugga il ritornanteCamillo forse, ch'a lor occhi un mostro
Verso tant'altri, un mostro esser dee pureVerso la sciagurata a lui consorte.
Ad Ildegarde appressansi amendue,
Ed Irnando le dice: - Il ferro mioNon fallirà, s'hai di mestier difesa.
Ma oh stupor! La soave, in altro modoChe non credean, prosegue:
- Il sol non vedeDonna di me più dal suo sposo amata,
O buona Elina, e anch'io, quando al castello
È il mio signore, ed io filo cantando,
Spesso il miro al mio fianco, ed accompagnaLa mia colla sua voce; e molte volte
Abbaian nel cortile i guinzagliatiCani pronti alla caccia, ed alla caccia
Propizio è l'aer di levi nubi sparso,
Ed ei pur meco stassi, ed al cignaleFino al seguente dì tregua consente.
Ignoto ad ambo è il tedio, o se noi colseAlcuna volta, mai non fu quand'uno
All'altro amato cor battea vicino.
Ed oh a qual segno in esso, in me, di nostraSolinga vila crescerà l'incanto,
Allor che a noi (se il ciel pietoso arridaAlla dolce speranza!) uno o più figli,
Siccome questi, fioriranno a lato!
S'interrompe Ildegarde, e per gentileImpeto d'amorosa alma commossa,
O per arte gentile, o per un mistoD'impeto ed arte, i due bambin si prende,
Uno a destra uno a manca, e li accarezzaCon baci alterni e voluttà di madre,
Sì che la madre vera e il genitoreInteneriti esultano, e amicati
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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Elina Elina Ildegarde Irnando Elina Ildegarde
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