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      Un idol d'altra gente! aver potutoPer nemici obblïar sì sviscerato
      Fratel, qual gli era dall'infanzia Irnando.
      Ciò non isfugge all'ospite avveduta,
      E con lenta eloquenza insinüante,
      Che più e più le udenti anime scuote,
      Pinge in Camillo a que' trascorsi tempiUn fautor generoso (errante forse,
      Ma generoso) d'abbagliante insegna,
      E che a virtù immolar tutto credea,
      Fin le dolcezze d'amistà più care.
      E come pur tal amistà in Camillo
      Vivesse, ella soggiugne, e come i giorniSospirass'egli della pace, in cui,
      Placato Irnando, il rïamasse ancora.
      Dice inoltre com'ei, reduce all'ondeDel Pellice natìo, concilïarsi
      Con Irnando agognava, e si valeaD'intercessori invan; come ad Irnando
      Mandò il proprio scudiero, e fu respinto.
      Dice gli sguardi mesti e affascinatiDi Camillo al castel del primo amico,
      E a quell'arbore e a questa, e a quel valloneEd a quel poggio, e del torrente ai flutti
      Ove insieme natavano, ed ai ghiacciOve lungh'ore sdrucciolon vibravansi,
      Ridendo e punzecchiandosi e luttando,
      E sui ghiacci cadendo, e (bozzolutaIndi spesso la fronte o insanguinata)
      Tornando a casa lieti e tracotanti.
      - Oh che facesti, sposo mio? prorompeLa fervida Romana; un altro, un altro
      T'eri foggiato e l'abborrivi. Io pure,
      Qual lo foggiavi, l'abborrìa; ma il mostroChe innanzi agli alterati occhi ci stava,
      No, non era quel pio, cui sì diletteSon dell'infanzia le memorie tutte,
      Cui tu sempre sei caro, e che sì caroAd Ildegarde non sarìa, se iniquo.
      - Sarebbe ver? balbetta Irnando; e il ciglioGli si rïempie di söave pianto.
      Ei m'amerebbe ancora?


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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino
1837 pagine 291

   





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