Ah no, non restin!"
Cede alla possanzaDel suo rammarco alfin l'inconsolata
Moglie d'Irnando, ed una sera ascesoIl solito cíglion con Ildegarde,
Donde vedeasi per più lunga trattaLa polverosa via, nè comparendo
I cavalieri, o messo alcun, prorompeAbbracciando i figliuoli in disperato
Pianto, e respinge dell'amica il bacio.
- Va, sciagurata, lasciami; a' miei figliRapisti il genitore! A me rapisti
Colui che tutto era al cor mio! Colui,
Pel qual degli avi miei la dolce terraSenza cordoglio abbandonata avea!
Viver senz'esso non poss'io: qual sorteA queste derelitte creature
Verrà serbata, dacchè al padre i ferriTolgon la vita, ed alla madre il lutto?
Voler, voler del cielo era d'Irnando
L'inimistà pel tuo fatal consorte!
Maledetto l'istante in che, ispirataDa infernal consiglier, lieta movevi
A mia ruina! Maledetto il nomeDi suora che ti diedi! -
Al furibondoGrido geme Ildegarde, e invan desìa
Trovar parole per placar l'afflitta;
Invan gli amplessi iterar tenta. OgnoraPiù duramente rigettata e carca
Di rimbrotti amarissimi, il cordoglioRispetta dell'amica, e ridiscende
Dietro a lei mestamente la collina,
D'ancella a guisa che garrita piange,
E risponder non osa. A quando a quandoSi sofferma Ildegarde, e confidata
Tende l'orecchio e nella valle mira,
Che voci udir le sembra; e quelle voci,
Ahi! manda il villanel, che dagli aratiCampi co' buoi ritorna, ed a lui cara
Son compagnia l'antica madre, curvaSotto il fascio dell'erbe, e la robusta
Moglie, peso maggior di rudi sterpiCon elegante alacrità portando.
Ne' dì seguenti, al consüeto poggio
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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Irnando Ildegarde Irnando Ildegarde Ildegarde
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