Alla porta ospital. Sospeso alloraIl conversar con Dio, s'alza ed appella
Un de' laici fratelli, e - Va, gli dice;
Provvedi tu che all'arrivante abbondiDi carità dolcissima il conforto,
Chiunque ei sia.
Quindi, umilmente curvaLa nivea fronte, eccol di nuovo a' piedi
Del Crocefisso, e nell'orar diceva:
- Or chi sarà questo ramingo? Oh fosseTal di que' mesti a cui giovar potessi!
D'accelerati e poderosi passiD'un cavalier sonar sembran le volte;
Poscia addotto dal laico entro la cellaViene... Eleardo.
- Oh amato zio!
- Nepote,
Onde tu di Staffarda alla Badìa?
Il laico si ritrasse. I duo congiuntiSi strinsero le destre, e il giovin prode
Sovra la scarna destra del canutoLe labbra pose, ed ambe allor le braccia
Aperse questi, e al sen paternamenteIl figlio accolse dell'estinta suora.
Così il giovin comincia:
- Alto misteroSon chiamato a svelarti.
- In me fiduciaSai qual tua madre avesse; abbila pari.
- Dacchè in Saluzzo reduce son ioDalla corte di Napoli e dal Tebro,
Poche fïate al fianco tuo m'assisi,
E assai pensieri d'Eleardo ignori.
- E l'ignorarli mi mettea paure,
Che forse sgombrerai.
- Padre, mentita
È la fama che sparsa han da Milano
I perfidi Visconti incontro al veroProteggitor d'Italia tutta e nostro.
In benefizi alto, fedel, possente
È il regio cor del Provenzal Roberto:
Ei la Chiesa vuol grande: ei de' tiranniFlagello fia; de' buoni prenci scampo.
- Bada, o giovin bollente, omai tremendaSplender la luce di quel re straniero
Che di Napoli al serto altre aggiungendoMinori signorìe, stende sue lance
Di castello in castel, di villa in villa,
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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