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      Disse che rasi non andrian gli ostelli,
      Ma diè barbaro cenno alle coortiChe assalisser la turba, e d'ogni spoglia
      La derubasser. Così il vil tirannoSuoi debiti solveva ai masnadieri,
      Che a quel regno di sangue aveanlo alzato.
      L'inverecondo estremo predamentoDesta a furor gli sventurati. Allora
      Più non resiste agl'impeti possentiDel suo sdegno Eleardo: - Io m'ingannai,
      Alto grida fra il popolo; io sognavaEsser Manfredo della patria padre;
      Usurpator mi s'appalesa infame!
      Con lui rompo ogni vincolo, al cospettoDi voi, di lui medesmo!
      Intorno al prodeCento gagliardi giovani un celato
      Ferro traggon dal seno, od ai nemiciTolgon con forza l'arme, e questo pronto
      Saluzzese drappello osa brev'oraSperar prodìgi. Orribile, ostinato
      Combattimento per le piazze ferve,
      E più fïate incontrasi Eleardo
      Coll'iniquo Manfredo, e mescolatiSono i lor brandi valorosi indarno.
      S'incontrano Eleardo e Arrigo pure,
      E quei più volte può svenare il vecchioMa con affetto filïal lo sparmia,
      Benchè Arrigo lo imprechi. Alfin dal troppoNumero sopraffatta è l'animosa
      Schiera de' cento, e arretra, e quasi interaEsce fuor delle mura, ed inseguìta
      Viene per la campagna infin che l'ombreDelle selve la involano ai crudeli.
      Intanto agli occhi di Saluzzo un nuovoSi compiva infortunio. In man degli empi
      Cade la rocca stessa, e prigionieroIndi co' dolci figli esce Tommaso,
      E tratti van gli sciagurati illustriIn carceri diverse. Alta ventura
      Ancor si fu che in piena sua balìaNon li avesse Manfredo: ei li avrìa spenti.
      Il fero siniscalco uman s'è fatto,


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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino
1837 pagine 291

   





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