A diverso destin ciascun si trae.
V.
Oh fra i più strazïanti umani affanniQuello di non perversa alma che rea
Ad un tratto si tiene, ove sciagurePiovon non tanto sulla sua cervice,
Quanto sulle cervici de' suoi cariE dell'intera patria sua, ch'ei vede
Agonizzar, nè può recarle aïta!
E più quando quell'alma, in suoi terroriDisamata s'estima, e disamata
Da tal cuor ch'era suo! da tal dilettoCuor, che per sempre ei scorge ora perduto!
Così da lunge qua e là mirandoE pensando a Maria, come colui
Che vedovato delle sue pupillePensa a quel sol ch'ei non vedrà più mai, -
Giunge di nottetempo alla badìaD'Ugo il nepote, e chiede ivi l'ingresso.
- Dov'è lo zio?
- Signor, finiti dianziErano i salmi, ed ei restò nel tempio.
- Colà n'andrò.
- Perturberesti forseLe più calde sue preci. Odi, ti ferma.
A tai voci non bada il cavaliero,
Ed il portico varca, e l'infrappostoVarca esteso cortile, e al tempio move.
Apre la porta, inoltrasi tremando;
E della sacra lampada al palloreScorge prostrato il solitario antico
Appo l'altar. Questi repente s'alzaAl rimbombo de' passi.
- Olà chi sei?
Assaliti siam noi dalle masnadeDe' traditori? Oh che ravviso? Oh iniquo!
Tu nella casa del Signor? T'arretra:
Tinto di sangue cittadin tu vieni.
Sino all'ingresso s'arretrò Eleardo,
Confuso, esterrefatto, e dalle fauciMettea supplici grida. Alfine a' piedi
Dello zio inginocchiossi, e in abbondantiLagrime ruppe; indi a' singulti amari
Impose freno, alzò la fronte e disse:
- Uomo di Dio, non maledirmi ancora,
Porgi a mia strazïata anima ascolto!
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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Maria Ugo Eleardo Dio
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