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      La tirannide sua, che i prigionieri,
      Se patria avean la saluzzese terra,
      Considerava ribellanti degniDell'ultimo supplizio, e senza indugio
      Strage ne fea. Tal rabida inclemenzaCostrinse i ghibellini a rappresaglia,
      Sì che perdòn più non brillò sui vinti.
      A quel tempo si vide in ambo i campiAccorrer di Staffarda il santo abate,
      Misericordia supplicando invanoPe' guerrieri captivi. A lui Manfredo
      Con vilipendio rispondea, sgozzandoInnanzi a lui le vittime, e nell'altro
      Campo l'udìano con ossequio i prodi,
      Ma rispondean che giusto uso di guerraStabilìa le vendette, unico modo
      A frenar gli avversari in tal barbarie.
      Per tutti gl'immolati Ugo gemea,
      E notte e giorno l'atterrìa il timoreChe prigion di Manfredo in qualche pugna
      Eleardo restasse. Ah! insiem con essoUn altro cuor da quel pensier tremendo
      Era a que' tempi strazïato: il cuoreDella figlia d'Arrigo. Avea creduto
      L'infelice Maria poter nemicaVivere ad Eleardo, allor che intese
      Ch'ei dipartito dalle guelfe insegneAlla destra di lei più non ambiva.
      L'avea davvero alcuni dì abborritoCom'uom che lei tradìa, com'uom che l'armi
      Tradìa de' generosi. Ah! nel sinceroAnimo della vergin quello sdegno
      Fu breve fiamma, e sfavillò al suo ciglioDe' ghibellini la giustizia, e pianse
      Riconoscendo in qual funesto erroreIl padre s'avvolgesse. Ella in Envìe
      Nel paterno castel traea la vitaColle dilette ancelle, trepidando
      Pel genitore e per l'amante. AscesaI passegger vedeanla da lontano
      Su questo ovver su quel dei sette grigiTorrïoni d'Envìe. La sventurata
      Scorgea nella pianura o sovra i colli


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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino
1837 pagine 291

   





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