- Il ciel t'ispira: andiam.
RapidamenteLa vergin s'allestì; rapidamente
Ella e pochi fedeli in sui corsieriVolser con Ugo al saluzzese campo.
Ad un tronco giaceva incatenatoTra i furenti nemici Arrigo, a breve
Di Saluzzo distanza. Ei siccom'uomoChe avea la gloria di Saluzzo amata
Vagheggiando per essa e per Manfredo
Fortune alte, impossibili, or miravaCon istupor, qual visïon non vera,
Quell'ultima sconfitta, e quell'orrendoSvanir d'ogni speranza, e quel ritorno
De' ghibellini e di Tommaso, e quellaGuerra in veloci tratti or consumata
Con nessun frutto, fuorchè stragi e scherniE povertà ed obbrobrio e sacrilegii!
E tutto ciò per vicendevol, grande,
Creduto zelo di virtù e di patria!
E innanzi a lui mirando egli quel locoDove a prosperi dì sorgea Saluzzo,
E dove diroccato oggi è il recinto,
E dentro quel, fra orribili macerie,
Non v'ha che rari antichi alberghi e templiCon negri campanili, e qualche novo
Incominciato cittadino ostello,
Sente Arrigo la dura alma infiacchirsiDa pietà inusitata. Ei nella foga
Delle gioie guerresche avea con occhiDi ferocia le fiamme un dì veduto
Ed il saccheggio devastar Saluzzo.
Or cessata l'ebbrezza, il cavalieroDelle avvenute iniquità s'affligge,
E dice mal suo grado: - Ecco onde il Cielo
Manfredo e i guelfi e me con lor condanna!
Poi caccia quel pensiero, e, benchè rieda,
Celarlo vuole, e alta la fronte ei tiene,
Con dispregio guardando i vincitori.
Cacciar vorrebbe altro pensier più dolce,
Ma in un più divorante. Ei nelle mesteSale d'Envìe scorge la figlia, ed ode
Il miserando suo lamento, e sola,
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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