Lasciami: un altroDovere è quel di figlia. A me ignominia
Fora il non chieder la tua vita al sire.
- Vilipesa sarai.
- Pur vilipesa,
Degna sarò d'ossequio e di compianto:
Avrò adempiuto quanto amor di figlia,
Quanto la voce del Signor m'impone.
Contendeano in tal foggia, e l'ostinatoArrigo persistea nel suo divieto;
Ma di Staffarda l'infulato duceStrappò Maria dalle paterne braccia,
Ed attraverso a numerose tendeCorrono di Tommaso al padiglione.
Udivan essi da lontano gli urliDel corrucciato Arrigo:
- A tutte dunqueSerbato io son le più esecrabili onte!
Di me la figlia indegnamente stesaAd implorar la vita mia, la vita
Che mi si fa spregevol, che non posso,
Che non voglio accettar! Riedi, ten prego,
Tel comando! paventa il furor mio,
Il maledir d'un genitor morente!
Ghibellino fu sempre Ugo, e nol movePietà di noi. L'ipocrita vegliardo
Del nostro duolo infamemente esulta,
E per farlo maggior vuol che d'Arrigo
L'ultima figlia esempio doni abbietto.
Del minacciar, paterno e delle ingiusteVoci contr'Ugo questa inorridiva;
Ma il venerando abate alla fanciullaReggeva il cor, dicendole: - Salvarlo
Dobbiam malgrado l'ira sua superba.
Ma qual d'entrambi è l'animo allorquandoDalle guardie interdetto al padiglione
Vien lor l'ingresso! Non bastàr nè preghi,
Nè lagrime, nè strida. Un assolutoCenno del sir faceva inesorati
Tutti i guerrieri che cingean la tenda.
Stavano dentro a quella in assembleaCol supremo signor parecchi duci;
E questi duci tutti eran da lunghiDanni e da amare perdite innaspriti,
Sì che spinto da lor venìa il marchese
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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Staffarda Maria Tommaso Arrigo Ugo Arrigo Ugo
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