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      A costante fierezza, insin che, espulsiPienamente i nemici, astro securo
      Di comun gioia sfavillar potesse.
      Entro la rocca di Saluzzo chiusoErasi il rio Manfredo, e colà ancora
      Ei da stranieri iva sperando aïta,
      Benchè spersi fuggissero, inseguitiDall'antico Giovanni e da Eleardo.
      Di questi duo suoi fidi cavalieriOr più Tommaso non avea contezza
      Già da due dì. Certo parea il trionfo;
      Ma se fallito avesse? e se impensateNovelle squadre di possenti guelfi
      Nel paese irrompessero? Que' dubbiiNutron lo sdegno di Tommaso. Impone
      Che congedati sien Ugo e Maria,
      E quai si fosser supplicanti.
      AlloraPria di ritrarsi il presul generoso
      Resistendo alle guardie, alzò la voce:
      - Nobil marchese di Saluzzo, ascoltaI moti del cor tuo: non meritato
      Da' tuoi nemici è di tua grazia il raggio,
      Ma so ch'aneli d'emanarlo, e Iddio
      L'adempimento di tua brama aspettaPer benedirti più e più...
      Troncato,
      Fu duramente da' guerrieri il pioGrido del vecchio, e fu troncato il grido
      Dell'angosciata vergine, e repenteLunge dal padiglion venner sospinti.
      Videli Arrigo a sè tornare, e disseCon amaro sogghigno: - Il pianto vostro
      Non terse dunque il vincitor? Lucraste,
      E ben vi sta, gli ultimi oltraggi: io puroSon di codesto obbrobrio vostro almeno!
      A Dio mi curvo; a nessun uomo in terra!
      Ma dopo quel sogghigno e quell'acerbaFavella, intenerissi alle dirotte
      Lagrime di Maria. Con lui rimaseLa sconsolata, e ritornò alla tenda
      Il santo amico lor, novellamenteTentar volendo di Tommaso il core;
      Ed intanto la vergine abbracciandoDel padre le ginocchia, or lo pregava


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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino
1837 pagine 291

   





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