Di placar Dio con miti sensi, ed oraA Dio medesmo rivolgea sue preci.
Ugo, ahimè, ricompar! nulla otteneva,
Nulla ottener più spera! Alta mestiziaAl degno sacerdote in volto siede,
Ma mestizia di forte alma che vieneUn moribondo a regger nel tremendo
Agonizzar dell'ore sue supreme.
Maria l'intende, e misera prorompeIn impeti di duolo inenarrati;
Smarrisce i sensi, e inconsapevol trattaViene appartatamente infra pietose
Donne che a lei soccorrono. ProstrossiArrigo allor del sacerdote a' piedi,
E confessò sue colpe. E dacchè scioltoGli fu in nome di Dio di queste il laccio,
Si rïalzò con pacatezza altera,
Ma non di quella indomita alterigiaChe in lui dianzi apparia, qual di nociva
Fosca meteora formidabil luce.
Or quell'ardito e dignitoso sguardoPorta di pace e d'umiltà un'impronta
Che vien dal Ciel, dal Cielo, autor sublimeDi stupende armonie!
- Dov'è mia figlia?
Ugo, traggila a me: l'estrema volta,
Benedirla degg'io. Meco brev'oraStar si potrà.
Fu ricondotta al padreLa sventurata, ed ancorchè d'affanno
Le sanguinasse il cor, pur di lui videCon maraviglia la quiete, e grazie
Alla Donna degli Angioli ne rese,
Ed impose a se stessa umiltà, pace,
Eroica forza. Ella piangea, ma frenoPonea a' lamenti, e con devote ciglia
Mirava il padre, e sue parole tutteAccoglieva nell'anima, siccome
Parole d'uom che santamente muoia.
Festivo era quel giorno, e perciò l'altroPei supplizi aspettavasi. Omai tarda
Era la sera, ed Ugo apparecchiatiA pio morire aveva altri prigioni.
Ritorna ei quindi presso Arrigo, e i propriiPalpitamenti di pietà vorrìa
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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