Le più valenti squadre egli ha sconfitte.
Stende il marchese al giovin glorïosoL'amica destra. Ei gliela bacia, e prono.
- Signor, grida, signor, me qui tu miriAstretto a chieder dalla tua clemenza
A' pochi miei servigi alta mercede.
- Quai pur sieno tue brame, o campion mio,
Le manifesta, e saran paghe.
- I giorniChieggo salvi d'Arrigo. Il so, fu reo:
Non corrucciarti del mio ardito prego.
Arrigo a me qual padre ebbi molt'anni,
E padre è di colei che sul mio coreSin dall'infanzia regna.
Ondeggia alquantoIl magnanimo prence, indi prevale
Benignità sugli altri affetti, e sclama:
- Ho perdonato! ogni prigion si sciolga,
Ed a' suoi tetti rieda, apparecchiandoA più nobile oprar suoi dì futuri.
A quella augusta consolante voceMill'altre voci eccheggiano, e fra loro
Quella del vecchio di Dogliani, e quellaDel presul di Staffarda, e più robusta
Quella del giovin che all'amata donnaRendere può del genitor la vita.
A tanti applausi si nasconde il prenceRïentrando commosso entro sua tenda:
Ed ecco volan Ugo ed Eleardo
A scior d'Arrigo i lacci.
Il prigionieroUso ad ira e superbia, esitò prima,
Poi fu da conoscente animo vintoE da dolcezza, ed Eleardo al seno
Colla figlia serrando, inginocchiossi,
E disse a Dio: - Sovra Tommaso schiudiTuo più giocondo riso, e prosperato
Sia nel dominio e nella prole, e cessiA lui d'intorno ogni fraterna guerra!
Modestia e gratitudine e contentoE maraviglia e amor davano agli occhi
Della vergin bellissima un novelloIndicibile incanto, onde il fedele
Suo cavalier gioìva inebbrïato.
Scorge i lor voti il padre, e prende e unisce
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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Arrigo Dogliani Staffarda Ugo Eleardo Arrigo Eleardo Dio Tommaso
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