E ardiron favellare, il cieco strinseLa figlia al seno, e grazie alte le rese
D'averlo addotto a salvamento, e leiPer l'accorto suo senno e per la dolce
Filial carità ribenedisse.
- Or dove, o padre, senza aïta alcunaCi avvïeremo?
- O Clara mia, remotiSiam dal nostro castello, e a ritornarvi
Il tempo mancheria; son prezïosiTutti gl'istanti; acceleriamo il passo
Verso il campo nemico, appo le tristeDi Saluzzo rovine. O senza doni
Compariremo anzi al tremendo sire,
Ma sincere promesse il piegherrannoA moti di clemenza. Inoltre ho fede
In mia canizie e in queste spente occhiaieE nel pianto che versano, e ben anco,
Figlia, nel tuo.
Pensava Aroldo ospizioPrender non lunge, ove la figlia al raggio
Della luna scorgea l'amica torreD'un consanguineo sir. Ma là giugnendo,
Odon che il giorno pria furibonda osteEra quivi passata e avea deserta
La rocca e trucidato il castellano,
E devastato a' villici i tugurii.
Il negro pan de' villici dispersiPiangendo rompe colla figlia Aroldo,
E beono alle lor tazze. Indi sen vannoPer tutti i casolari, invan cercando
Palafreno o giumento: avean le schiereDe' nemici avidissime votata
In que' lochi ogni stalla.
- Ahi, dilungatiVieppiù ci siam dal tetto nostro, o padre!
Or dove andrem?
- Pedon la via si seguaSino al mattin: buio non è, dicesti.
Fa cor; preghiamo camminando, e al guardoD'altri ladron te, mia dovizia or sola,
Te il ciel pietoso asconderà.
Sì disse,
E di padre l'affetto e di sorellaLena lor porge insino all'alba. Il campo
Mostrossi allora al pauroso orecchioDella fanciulla pria che agli occhi.
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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Clara Saluzzo Aroldo Aroldo
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