Oh dubbioPeggior di morte! E chi alla sbigottita
Dice s'uno colà de' morïentiL'amato suo fratello ora non sia?
Chi le dice se il passo al genitoreVietare a forza ella non debba? Ahi lassa!
E se il padre trattien, non di Ioffrido,
Che forse ancor sull'albero non pende,
Cagionerà la morte?... Ad ogni costoVadasi al fatal loco!
Il piè, tremandoIn ciò pensare, affretta. In man la mano
Della meschina Aroldo tien. - Di gelo,
Fra sè diceva, è questa man, siccomeQuella ch'io strinsi di sua madre al letto
Ove s'estinse.
Indi il vegliardo scuoteIl capo, quasi scuotere volesse
Un malaugurio, e non potea. - Di morte,
Figlia, i negri m'inseguon pensamenti.
Abbi pietà di mia vecchiaia, e i cariDetti mi porgi che tue labbra sciorre
Uniche san, quando scorato è il padre.
Nata ne' giorni di sventura, e in ermaTorre cresciuta, ove sorelle e madre
Vide spirar, sollecita a sinistriPresentimenti schiuder l'alma, è fatto
In lei religïon. Si raccapricciaIn udir che s'affaccin alla mente
Del genitore e in quest'istante i negriPensamenti di morte. A lui si volge,
Apre le labbra - e i consolanti dettiCh'uniche sciorre un dì sapean, non trova:
Non trova, ed ahi! la prima volta è questaChe inobbedito di suo padre è il cenno.
- Più de' pensier miei tristi or malaugurioM'è il tuo silenzio, ei dice.
E lo spaventoIn lei crescendo, e a' rai primi del sole
Splender veggendo le volanti frecce,
Improvviso s'arresta. - Oh genitore!
Non c'inoltriam: non odi tu le stridaDegli assassini?
- Il figlio, il figlio mioForse a morte strascinano: affrettiamci.
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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Ioffrido Aroldo
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