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      Versò pel nobil padre tuo, quand'essoCon tanta gloria signorìa qui tenne.
      - È tardi, o vecchio, e duolmene. In te accogliTutta la forza ond'è capace il core
      D'un cavalier. Sovra quel legno pendeUn trafitto cui grazia altra non posso
      Conceder più che di ritorlo ai corvi,
      E consentirgli de' suoi cari il pianto.
      Disse, e accennando che una guardia il mortoDalla croce calasse e all'infelice
      Lo rimettesse, cogli sproni un toccoDïede al cavallo e col suo stuol disparve.
      Clara i sensi racquista, e oh di doloreQual novo orrendo palpito! Era dunque
      Il fratel suo quel miserando ucciso!
      Eccolo tolto dal funesto legno;
      Ed ella il raffigura a cicatriciChe sul petto ei portava. Oh come il vecchio
      E l'angosciata giovin su quel corpoS'abbandonan piangendo! Ella in lino
      L'infranta testa pïamente avvolge,
      E chiede aiuto ai vïandanti. A dolceCarità si commove una famiglia
      Di Saluzzesi agricoltori, e datoViene un carro con bovi, onde al lontano
      Castello il morto cavalier si tragga.
     
     
      II.
     
      Or da quel giorno d'ineffabil luttoRivolgiamo la mente oltre a sei lune,
      E la mesta mia cantica, i solinghiPianti dell'orbo vecchio e di sua figlia
      Commiserando, svolga altra vicenda.
      Era una sera: alle vetuste muraDel baron s'appresenta un fuggitivo,
      A cui ferite e febbril sete esaustaMiseramente avean la voce. Aroldo
      Piena di vino gli mandò una coppaCon questi detti: Al focolar t'accosta
      Sin che apprestata sia la cena, e al sirePerdona del castel s'ei di sue stanze
      Non uscirà, dove cordoglio il tiene.
      Clara portò que' detti, e il fuggitivo


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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino
1837 pagine 291

   





Saluzzesi