Un servo entrava: - Damigella, o carcoD'inaudite peccata, o fuor di senno
È lo stranier. Che far dobbiam? D'Iddio
Parla tra sè com'uom cui prema occultoDi vendette terribili spavento,
E di qui vuol fuggir.
- Tosto bardataPer lui sia mia cavalla.
Il servo parteMaravigliato, ed obbedisce. Intanto
Antico armadio la fanciulla schiude,
Ed indi tratto un de' paterni manti,
Al leve suo tesor poscia s'affrettaD'auree monete, e in una borsa il pone.
Così ver l'agitato ospite mosse,
E que' doni offerendogli - D'Aroldo
Questa, gli disse, è la vendetta, o sire.
Fremea la generosa in lui mirandoL'uccisor di Ioffrido e il formidato
Di Saluzzo oppressor, ma pïamenteFrenò il ribrezzo, e dal balcon la corte
Del castello accennando, a lui soggiunse:
- Ecco a' tuoi cenni un corridor: se lenaTi basti, fuggi, e t'accompagni il cielo!
Clara sparve, ciò detto. E l'infeliceTiranno - Angiol! gridò. - Poi diè dal core
Uno scroscio di pianto. Ed allor forsePentimento verace a lui fu strazio,
Le proprie atroci colpe rammentando,
E rammentando il giovine Ioffrido,
E quel misero cieco che appoggiatoAd un alber credeasi, e gli grondava
Sovra la testa, ahi, di suo figlio il sangue!
Frettoloso Manfredo i doni tolse;
L'inaudita pietà benedicendo,
D'Aroldo cinse su le spalle il manto,
E quindi a pochi tratti il vide Clara
Dalla fenestra, che, al cortil venuto,
Con sembiante commosso intorno intornoIva gli occhi volgendo, e verso il cielo
In atto di preghiera ergea le mani,
Poi le briglie toccava ed era in sella.
Fermato ivi un istante, ad alta voce
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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Iddio Aroldo Ioffrido Saluzzo Ioffrido Manfredo Aroldo Clara
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