De' vigili patrizi imperadori,
Il qual l'avverte pronta esser la nave,
E l'affretta a salirvi, e gli pronuncia,
Sotto pena di scure, eterno bando.
Non è a ridirsi il sogghignare amaroDel fremente Gilner. Giunti alla riva,
E risaliti sull'arcion, guardossiIntorno intorno lo scudier, poi volto
Ver la città dell'acque, alzò la destra.
E a mezza voce' fulminò paroleDi maledizïon. Non l'interruppe
Con dirgli "Taci" in sulle prime il sire,
Ma diessi poscia ad acquetarlo.
- Eh via!
Non t'infiammar con tal corruccio il sangue.
Tedio noi già prendea di quelle mesteGondole e de' canali impegolati,
E i piedi nostri e de' corsier le zampeNascean per batter sul terren, le impronte.
- M'era dolce, o signor, che di quel lezzoCi traessimo alfin, ma volontarii,
Non come coppia di birboni espulsi!
Ed espulsi da chi? Da insolentitaDi possenti usurai turba corsara!
- Oibò, Gilner! qualche rigor molestoPonno i Veneti oprar, nè però cessa
Delle lor leggi il venerevol lustro:
Fu colpa mia; chè di maggiore ossequioEra a tai leggi debitor. Creduto
M'hanno inimico, e pur, tu vedi, in ceppiNon siam ne' pozzi o nell'aeree buche.
- Meglio infatti così! sclamò Gilnero;
Ma dove andiam?
- Mel chiedi? Al cor mio notaCittà non è che in leggiadria e costumi
Cavallereschi agguaglisi a Verona:
Da lei scostarmi io non doveva; e l'ormeSacre di Dante ivi mi legan.
- ParmiChe qua e là, come le nostre, erranti
Vagasser l'orme di quel vate, ognoraFiori di senno e carità cercando,
Ed abbrancando non que' fior, ma spineE morte frasche e laidi insetti e rospi.
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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino 1837
pagine 291 |
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